Benvenuti al Teatro della Posta Vecchia.
Menu

Spettacolo partecipante alla Rassegna
"Mariuccia Linder"


MADAME MARGUERITE | monologo tragi-comico per una donna impetuosa
di Roberto Athayde
traduzione di Mariella Fenoglio
con Elena Pau
impianto scenico e costumi di Salvatore Aresu
regia di Marco Parodi
Un testo che ha rappresentato il cavallo di battaglia di mostri sacri in Italia e all’estero come Anna Proclemer (al festival di Spoleto, e poi a Roma e Milano, sempre in teatri esauriti), e a Parigi al Theatre de la Gaité di Mantparnasse da Annie Girardot, che lo ha ripreso anche a distanza di 26 anni dal suo debutto.
Un magnifico monologo, che ha per protagonista Madame Marguerite, un’insegnante: e tuttavia nel delineare questa figura l’autore non pensa soltanto all’istituzione scolastica ma alle mille forme che può assumere l’autorità, alle coercizioni più sottili, alle strutture educative che non possono non essere impositive e verticali. L’aula di insegnamento rispecchia il potere della famiglia, il potere dello stato sui cittadini e, infine, quello dell'attore sul pubblico. Non a caso il testo fu scritto da Athayde quando in Brasile governava la dittatura militare.
Si svolge per intero in un’aula scolastica, dove la bizzarra insegnante, sospintavi dal sonoro tornado wagneriano della “Cavalcata delle Walchirie”, ne prende violentemente possesso, dopo essersi telegraficamente presentata, scrivendo a tutte lettere, col gessetto, sulla lavagna, l’antica parola “culo”; e quindi, con la maggior disinvoltura, disegnando, altrettanto chiaramente, quello che la metà maschile del genere umano solitamente si porta appeso dalla parte davanti definendolo, con poetica immagine geografica: “il Capo di Buona Speranza”: nulla di più adatto a creare quel che si dice il clima della chiamiamola così commedia.
Ma, in realtà, non si tratta che di un massacrante soliloquio di un paio d’ore, che passa come un tritasassi sull’allibita platea, seminando letteralmente il terrore addosso agli incolpevoli. Lei, lassù, in cattedra, solitaria ma, ahimè, non silenziosa, come una lupa verghiana: straripante, anzi, e feroce,
verbalmente diarroica: la Maestra, con tanto di emme maiuscola; e noi ammassati, giù, gli alunni di una quinta classe elementare, maltrattati a sangue, buoni buoni, basiti, senza osar fiatare, venuti ad
imparare, a suon di ingiurie, di sevizie e di violenze, le basi del vivere sedicente civile: dalla biologia all’evoluzione, dall’aritmetica alla semantica, dalla droga alla circolazione e via discorrendo; impartite da un inflessibile e minaccioso moralismo, malcelato quanto tradito da un furibondo subcosciente, ossessionato dall’erotismo malrepresso dell’invasata furia, preda d’un didattico delirio da antica Sibilla insanita, che si declama addosso rabbiosamente la propria paranoia schizofrenica, ispirata da Eugène Ionesco deus optimus maximus di ogni stralunato assurdo.