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                                                               Pretesti

Nota dell'autore

Avrei voluto cominciare con un assolo di contrabbasso, come spesso succede in qualche festival jazz.

Avrei voluto cominciare dicendo tante cose, come se fosse da tanto che ci conosciamo.

Avrei voluto cominciare offrendovi subito il meglio di me stesso.

Ma non è facile mostrarsi, così all’improvviso.

Ci vuole del tempo, per imparare a riconoscersi, ad accogliere, e quindi fidarsi.

Ecco, avrei voluto cominciare dicendo che forse le cose migliori che facciamo nascono quasi sempre da un dolore che per nessuna ragione al mondo avremmo mai voluto provare.

Eppure, anche grazie a questi dolori che ci portiamo dentro, è possibile adesso, almeno per quanto mi riguarda, riuscire a parlare, riuscire ad avere il coraggio di fare. Io faccio tante cose, in effetti, di cui voi non sapete nulla, ovviamente. Né io so molto di voi, naturalmente, e come potrei? Non vi conosco neanche. È questo il punto: esporsi davanti a degli sconosciuti, si chiama teatro o esibizionismo?, si chiama donarsi o ricerca di conferme? –  Il giorno dopo un mio incontro-spettacolo al Funduk di Agrigento, il 28 settembre 2012, intitolato, appunto, Pretesti, su facebook  ho scritto: “Penso che il talento che Dio ci ha concesso debba essere ben speso. Sempre. Perché penso che sia bellissimo condividere ciò che sai  esprimere, non solo artisticamente, anche se ad alcuni può sembrare un mero mettersi in mostra. Certo, a volte è indubbiamente così, ma è pur sempre un donarsi, con in più la consapevolezza che esprimere il proprio talento non debba essere soltanto un diritto, ma un dovere imprenscindibile, nei confronti del mondo, delle persone, della comunità di cui si fa parte. Vorrei aggiungere che l’esperienza degli altri è la risorsa più importante che ho a disposizione. Voi per me siete gli altri, in questo momento, e chissà quante cose potreste insegnarmi. Ma anch’io, per voi, tutti coloro che in questo momento abitano con me questo spazio, per voi siamo altri. Non mi sembra una cosa così difficile.

Il fatto è che noi “diamo troppe cose per scontate, e le riteniamo giuste, per una sorta di convinzione ipnoticamente indotta da un sistema mediatico controllato dai cosiddetti poteri forti. – Che ingenui che siamo! Ma altri punti di vista sconvolgono i nostri equilibri precari, le nostre false consapevolezze acquisite in anni e anni di lavaggio del cervello, in anni e anni di sottomissione a un potere non ben identificabile che ci tiene in pugno semplicemente perché gestisce i nostri bisogni senza affrancarcene mai. Ombre inquietanti si affacciano al mio nuovo orizzonte.”

Per cui troppa Storia non ci riguarda, perché scritta da altri, a loro misura. Questi invece, se permettete, sono Pretesti per raccontare la mia storia, o parte della mia storia, e se ognuno di noi, a modo suo, nelle cose piccole della sua – nostra –  piccola quotidianità avesse non solo il coraggio, ma l’opportunità, un pretesto qualunque, di raccontare la sua piccola, insignificante STORIA, probabilmente si mostrerebbe al mondo una verità che l’ufficialità dominante tende a nascondere e a sottomettere. E questo in tutti i campi: sociale, economico, politico, religioso, culturale, scolastico, istituzionale in tutti i sensi, e a volte persino a livello familiare.

Tramite questo spettacolo rivolgo il mio pensiero speciale a Francesca Nocera, Rossana Virciglio e alla città di Agrigento; e la mia riconoscenza a chi sta condividendo con me questo progetto, innanzitutto Osvaldo Rizzo, chitarrista, e Angelo Sanfilippo, fisarmonicista, e Mario Vasile, Percussionista, e il Teatro della Posta Vecchia e Giovanni Moscato, e Silvana Cutrò, Rosamaria Montalbano, Tony Bruccoleri, Giugiù Amato …

Salvatore Nocera