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Uno strappo nel cielo di carta

di Salvatore Nocera

Nota dell’autore

Pur intriso evidentemente di scrittura “classica” pirandelliana, con tutte le sue rivelazioni in riferimento all’incipit del XII capitolo de Il fu Mattia Pascal, Uno strappo nel cielo di carta è anche scrittura “originale” sull’inconsistenza del limite tra INTIMITÀ e PUBBLICO, all’interno della nostra criticissima quotidianità, con tutte le perniciose confusioni che ne derivano.

Di questa mia scrittura originale Mariuccia Linder s’era fatta interprete partecipata. Insieme, chiamavamo confidenzialmente Pirandello Zio Luigi, quasi a riportarlo tra noi, ma senza irriverenza, semmai con quell’ironia distaccata di chi semplicemente prova a considerarlo un punto di partenza: quindi Pirandello è studio, ma anche impulso per andare oltre, per scoprirlo come una sorta di propellente in grado di alimentare la nostra voglia di sperimentazione e il nostro desiderio di esplorare nuove mete espressive. Da un punto di vista teatrale, naturalmente. Per quanto, con Mariuccia, il confine tra i nostri vissuti e la nostra capacità di esprimerli, non fosse poi così nettamente distinguibile da un certo modo di far teatro e anche di scriverne, che non può prescindere dalla nostra vita e dal nostro dolore. Esattamente come nella Donna dell’Uomo dal fiore in bocca, recuperata dall’opera pirandelliana a protagonista di un vissuto che quello del marito ha sempre messo in ombra, ribaltando pertanto i ruoli, e relegando lui, stavolta, nell’ombra, con quella sua spocchia esibizionista del suo dolore che impedisce al resto dell’umanità – sua moglie – di manifestare il proprio. E tutto costruito esplicitamente su di un vissuto che allora calzava, almeno esteriormente, con quello di Mariuccia, di cui oggi Rosamaria Montalbano continua degnamente, e con spunti ancor più personali, l’intensa eredità. O anche al personaggio di Caloiru Pìspisa, costruito su di un mio precedente studio d’attore preparatorio al ruolo del Norcino ne La sagra del Signore della Nave, realizzata dal Piccolo Teatro di Agrigento nel 1996, e che ora prende le forme dalla notevole pienezza attoriale di Lillo Zarbo, che ha condiviso con Mariuccia le prime realizzazioni. Il tutto completato testualmente da riduzioni tratte da Sgombero e da Il fu Mattìa Pascal, e intriso di una musica  originale, quasi esclusivamente composta appositamente per questo spettacolo, a parte l’omaggio finale al grande Domenico Modugno, e che non poteva trovare interprete migliore nel respiro della fisarmonica di Angelo Sanfilippo – anch’esso conseguenza di un vissuto di dolori che nutre, facilitandola, e soprattutto riuscendo a condividerla, l’espressione artistica. Questo in fondo, nello spettacolo attuale, riunisce la mia vita espressiva con quella di Rosamaria Montalbano, Lillo Zarbo, Angelo Sanfilippo, e Mariuccia Linder, che adesso non c’è più, spettacolo all’inizio nato anche con lei, e che a lei dedichiamo, con tutto il cuore, attraverso il preziosissimo apporto organizzativo di suo marito, Giugiù Amato,  l’apporto tecnico di Tony Bruccoleri, e soprattutto  la disponibilità del Teatro della Posta Vecchia di Agrigento, ovvero di Giovanni Moscato,  cui va la mia riconoscenza di amico, ma anche il riconoscimento di un grande facilitatore della cultura teatrale agrigentina mai abbastanza preso in considerazione dalla sua Terra per come merita.

salvatore nocera